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Cappuccetto Rosso 2.0

Una favola rivisitata

 

di Cristina Gioli

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In un paese lontano lontano, c’era una volta una bambina che tutti chiamavano Cappuccetto Rosso perché portava sempre una mantellina rossa col cappuccio.

Era una bimba brava, e ogni giorno, dopo aver fatto i compiti, aiutava la sua mamma a fare i lavori di casa e a cucinare. Il suo papà era un marinaio che stava via per mesi e mesi, e lei e la mamma erano sempre sole nella casa che lui aveva costruito per loro nel centro del paese.

La nonna non si era mai voluta trasferire in paese; era sempre vissuta in una casetta in mezzo al bosco, e lì voleva rimanere. Si tenevano in contatto grazie al telefono cellulare – lo smartphone – e quella sera, come ogni sera Cappuccetto Rosso la chiamò per sentire se stava bene.

 

“Pronto, nonna, come stai?”

“Eh, non c’è male, ma quand’è che vieni a trovarmi?” rispose la nonna.

“Vengo sabato che non c’è scuola, che ne dici?

“Sì, che bello, portami anche anche un po’ di provviste…”

“Va bene, nonna, allora ci vediamo sabato. Buonanotte!”

“Buonanotte, tesoro!”

 

Ora dovete sapere che la nonna, anche se nessuno abitava con lei, non si sentiva mai sola perché aveva tanti piccoli amici. Il più piccolo era il riccio, che era gentile, affettuoso e servizievole. Abitava in un nido dentro la siepe del giardino, era molto pulito e si mangiava tutti gli insetti nocivi che trovava, fuori e anche dentro casa, dove era sempre un ospite gradito. Spesso, la sera, guardava la televisione insieme alla nonna.

“Ciao Pallino!” disse la nonna, vedendolo lì che l’aspettava vicino al divano. Pallino era il nome che gli aveva dato.

Pallino la salutò agitando la zampetta e sorridendo: “ciao nonna!”

Oltre al riccio Pallino, la nonna aveva un altro grande amico: il gufo saggio che si chiamava Platone, a cui lei raccontava le notizie dopo averle sentite al telegiornale. 

Platone abitava in un albero cavo, il più vecchio del giardino della nonna, e conosceva tutti i segreti del bosco perché di notte, andando a caccia, volava di qua e di là e vedeva tutto quello che succedeva. La nonna raccontava a lui le notizie del mondo e lui raccontava a lei le notizie del bosco.

Ma la più grande amica della nonna era la gatta Nerina, sempre pronta ad accarezzarla con la coda, a ballarle davanti, a saltarle in braccio per scaldarla e a fare le fusa.

Ma la nonna, purtroppo, non aveva solo amici fidati. Nel bosco c’era anche qualcuno  che la controllava e la spiava. Era un esperto informatico che le aveva hackerato il telefono in modo da intercettare tutte le sue chiamate: era il lupo Orlando! Era un lupo che aveva sempre fame e siccome nel bosco non trovava mai niente che gli piacesse, faceva di tutto per rubare le provviste della nonna. Lei, però, da un po’ aveva fatto installare un allarme elettronico tutto intorno al giardino e lo disinseriva solo quando la nipotina doveva entrare dal cancello. Se il lupo provava a mettere una zampa dentro, subito l’apparecchio si metteva a strillare “Al lupo, al Lupo” e arrivavano correndo i due mastini robot giapponesi che la nonna si era fatta arrivare per posta. Erano tutti di ferro, e come mordevano!

Ora Orlando, intercettando la chiamata, aveva sentito che Cappuccetto Rosso sarebbe andata il sabato a portare tante cose buone alla nonna; era la sua occasione. Il suo piano era semplice: avrebbe aspettato la bambina al cancello travestendosi in modo da non farsi riconoscere, sarebbe entrato con lei fingendo di essere un’amica della nonna che andava a farle visita e poi…avrebbe rubato tutte le cose buone portate da Cappuccetto e tutto quello che c’era già in dispensa.

Una volta entrato, infatti, si sarebbe tolto il travestimento e avrebbe detto:

“Altolà, mani in alto e ferme se non volete che vi morda il sedere! Questa è una rapina!”

Era un piano perfetto!

 

Ma torniamo alla storia. Il sabato mattina Cappuccetto Rosso, con l’aiuto della mamma, preparò un bello zainetto pieno di cose buone da portare alla nonna. Si infilò la mantellina e uscì.

“Mi raccomando, Cappuccetto Rosso,” disse la mamma, “non uscire mai dal sentiero, non ti fermare a raccogliere le fragole o le more, vai diritta a casa della nonna e soprattutto fai attenzione. Lo sai che nel bosco c’è quel lupaccio cattivo, che non mi ricordo mai come si chiama, che ci ruba sempre i cestini.”

“Tranquilla mamma, starò attenta,” rispose Cappuccetto Rosso, e si avviò.

 

Intanto Orlando si era vestito come una vecchia signora e la stava aspettando vicino al cancello della nonna. Aveva nascosto la coda sotto una lunga gonna e le orecchie dentro un cappellino con i fiori sopra. Ma quando gli animaletti amici della nonna videro questa strana signora, si incuriosirono.

“Chi sei’ Come ti chiami?” chiese la gatta Nerina.

“Cosa vieni a fare qui? Qui viene solo Cappuccetto Rosso!” disse il gufo Platone severamente.

“Già, proprio così!” confermò il riccio Pallino.

“Sono un’amica della nonna e comunque non sono affari vostri. Andate via, sciò, sciò!” rispose Orlando arrabbiatissimo cercando di toglierseli di torno, ma gli animali non furono per niente convinti da quella risposta. Sapevano che c’era in giro un lupo ladro, affamato e poco furbo, e cominciarono a girargli intorno veloci prendendolo in giro.

“Certo che per essere una signora sei parecchio pelosa!” disse la gatta.

“E che manone grandi hai!” disse il riccio.

“E che piedi grandi!” aggiunse il gufo.

Intanto era arrivata Cappuccetto Rosso che guardò stupita tutta quella confusione. Poi guardò meglio e capì. La vecchia signora non era una vecchia signora; la gatta le aveva tirato la gonna e ora spuntava la coda, il gufo le aveva strappato il cappellino dalla testa e ora si vedevano le orecchie e il riccio aveva pensato bene di pungerlo con i suoi aculei, per cui ora strillava.

“Ahi, ahi, basta, lasciatemi stare!” gridava Orlando.

“Tu sei il lupo Orlando!” gridarono in coro Cappuccetto e gli altri animali.

Orlando sfoderò i denti in un ghigno cattivissimo e cominciò a parlare:

“Sì, sono il lupo e ora vedr…” ma non finì la frase perché il gufo, per dispetto, gli era volato sopra e gli aveva fatto la cacca in testa.

“Oh, no, che schifo!” gridò Orlando che era molto schizzinoso e per il disgusto svenne.

“Ma dai, è svenuto!” disse Cappuccetto Rosso, “Forza, approfittiamone!”

Allora lei e i suoi amici lo legarono ben bene e aspettarono che si svegliasse. Nel frattempo arrivò anche la nonna che sentendo tutta quella confusione era uscita di casa accompagnata dai suoi fedeli cani robot.

Quando il lupo si svegliò, disse:

“Oh, come mi gira la testa, ma che è successo?”

“Tu volevi rubare tutto il nostro cibo. Sei molto cattivo, sai, e ora cosa ti dovremmo fare?” lo accusò Cappuccetto Rosso, puntandogli un dito contro.

“Bisognerebbe picchiarlo!” disse il gufo, e tutti gli altri, nonna compresa, furono d’accordo. Si misero a parlare tutti insieme e facevano un gran baccano, ma Cappuccetto Rosso li interruppe.

“Aspettate un momento. Cerchiamo di capire. Perché rubi sempre il cibo degli altri?

“Perché ho fame! Tanta, tanta fame da tanto tempo e non trovo mai niente di buono da mangiare!” gridò il lupo con tutto il fiato che aveva in gola.

Tutti gli altri ci rimasero male, non avevano mai considerato il punto di vista del lupo, e non sapevano cosa dire. Cominciarono a guardare in basso, imbarazzati.

“Ma hai provato a mangiare l’erba del bosco?” gli chiese il riccio Pallino.

“Un ovetto? Qualche formica?” chiese Platone.

“ E bere un po’ di latte?” suggerì Nerina.

Orlando si mise a ululare: “oh, ma insomma sono un lupo io, non posso mangiare erba e formiche!

Ma Cappuccetto Rosso aveva una sorpresa per lui: 

“Tu non ci crederai, ma io ho pensato molto a te e ti ho portato qualcosa che ti piacerà,” gli disse, e allora tirò fuori dallo zaino un gran pacco di croccantini per cani, lupi e bestie del genere. Si fece dare una ciotola dalla nonna, la riempì di croccantini e la porse al lupo, che, essendo legato, assaggiò con un po’ di difficoltà. I croccantini, però, gli piacquero tanto, ma proprio tanto che svuotò la ciotola in un attimo e poi si leccò i baffi.

“Vedi?” gli disse la bambina. “Non c’è bisogno di rubare. Se prometti di diventare un lupo buono, io ti prometto che non ti farò mai mancare i croccantini. E’ la fame che fa diventare cattivi!

E il lupo diventò buono e fece anche amicizia con gli altri animali. Due volte al giorno mangiava i croccantini e nelle sere d’inverno si poteva anche godere il calduccio della cucina della nonna e guardare la televisione insieme a lei, al riccetto e alla gatta. Il gufo, invece, rimase sempre un po’ sulle sue, ma si sa, lui era un vecchio brontolone poco socievole!

 

 

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