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IL SOGNO DI CARLETTO

di Romano Bavastro

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Carletto non sognava spesso. Gli poteva capitare di solito in coincidenza con qualche film che l’aveva particolarmente coinvolto. Prediligeva i gialli anche se non sempre riusciva a comprendere come il poliziotto di turno fosse riuscito ad individuare l’autore di un delitto o di una rapina. Le spiegazioni finali gli sembravano talvolta un po’ approssimative. Poteva accadere che il sogno si rivelasse utile suggerendo un particolare della vicenda che forse gli era sfuggito, od aggiungendo fatti o personaggi dovuti solo alla sua fantasia, a chiarire ciò che del film gli era rimasto oscuro.

Quella notte Carletto sognò ciò che invece aveva vissuto: l’incontro con i piccioni di Piazza d’Armi che anziché levarsi in volo al suo passaggio ed alle corsette dei bambini che ogni pomeriggio erano soliti frequentarla dopo la scuola per la merenda, lo avevano seguito mentre lui procedeva palleggiando la sfera di gomma vinta dalla nonna con i buoni del supermercato. Quasi una processione osservata con stupore ed incredulità da tutti i frequentatori della piazza. Che aveva fatto Carletto per conquistare l’attenzione e la simpatia di quelle decine e decine di piccioni?  Escluso - come qualcuno aveva urlacchiato – che avesse gettato loro pop-corn e patatine. Quell’incredibile marcia dei piccioni, come senza altre spiegazioni possibili aveva affermato Carletto, non poteva che essere considerata un miracolo. Restava da capire perché chi l’aveva propiziato avesse scelto Carletto quale protagonista.

L’episodio era stato per giorni al centro di commenti. Il cronista di un giornale locale aveva perfino intervistato un ornitologo di qualche fama per cercar di capire che cosa poteva aver spinto i piccioni di Piazza d’Armi, abituati a fuggire davanti alle corse dei bambini, a fare il contrario: essere loro ad andare incontro ad uno di loro, circondarlo, reclamare la sua attenzione e le sue carezze.  

Ma queste sono le premesse note. Adesso siamo alle prese con il sogno di Carletto all’episodio strettamente legato.

Piazza d’Armi ancora al centro della nuova vicenda. Carletto non è più un bambino ma un gabbiano che scende ad abbeverarsi alla fontana ed al suo apparire spaventa e fa fuggire i piccioni che l’avevano preceduto. Ma è un gabbiano buono che allarga amichevolmente le ali e cerca di richiamarli. Non ha intenzione di far loro del male. Vuole la loro amicizia. Scarica una quantità di vermi che si era portato dietro ed ai primi coraggiosi che si fanno avanti, presto seguiti da altri, offre per così dire un aperitivo. Il gabbiano Carletto parla una lingua diversa da quella dei piccioni ma con un po’ di buona volontà e tanto impegno riesce a farsi capire. C’è il timore che i bambini che nel frattempo si sono avvicinati ed essi pure sempre più numerosi, turbino l’assemblea. Ma i piccoli si rendono subito conto di assistere a qualcosa di straordinario ed assistono silenziosi. Che cosa vuol dire il gabbiano ai piccioni? Carletto è un bambino sportivo. In casa, con tutta la famiglia, ha da poco assistito alle Olimpiadi applaudendo gli atleti italiani vittoriosi in molte gare. Nel suo nuovo ruolo donatogli dal sogno egli immagina che delle competizioni olimpiche potrebbero essere organizzate anche per gli uccelli. E lui ha intenzione dell’evento di proclamarsi promotore e, chissà? parte attiva. Dichiara di averne già discusso con alcuni capi stormo trovando consensi seppure accompagnati da molti dubbi per la difficoltà dell’impresa. Sapete quante specie di volatili incrociano nel nostro cielo? Se i piccioni sono la specie più diffusa nelle città, molto facile a seconda delle stagioni, incontrare passerotti, rondini, allocchi, cardellini, fringuelli, aironi, picchi, usignoli, pettirossi…e, più raramente, falchi, ghiandaie, pernici, fagiani. Senza contare i gabbiani, fra i più numerosi e ormai, sempre in cerca di cibo, presenti dappertutto. Ora, spiegò il gabbiano Carletto, si deve pensare a dove e come organizzare le gare. Tenendo conto dell’ampiezza delle ali, mettere insieme specie diverse e stabilire distanze, lunghezza del percorso, luoghi di partenza e di arrivo. Distanze differenti per misurare la velocità pura, voli medi e lunghi. Il gabbiano Carletto si infervorava spiegando il programma lieto di vedere con quale interesse veniva seguito. Solo il piccione Stefano interveniva spesso per domande premature: “Chi vince che cosa avrà in premio?”, “Dove si svolgeranno le gare?”. La seduta fu tolta dopo quasi un’ora. Un gruppetto di piccioni avrebbe studiato gli abbinamenti evitando ovviamente che un gabbiano con un’apertura alare anche di un metro e mezzo potesse cimentarsi con un passerotto largo dieci centimetri. Altri studiato il campo di gara. Altri ancora esaminato i candidati per comporre la giuria. Un piccione alzò l’ala per chiedere la parola: “E le aquile con chi gareggeranno?”. “Le aquile sono così poche – osservò il gabbiano Carletto - che sarebbe difficile trovarne abbastanza per dar vita ad una gara. Sentiremo qualche esperto per capire se sarebbe corretto, nel caso, farle volare assieme ai falchi”. “E i cormorani? Potranno competere anche loro?”. “Certo; per loro il campo di gara sarà naturalmente la superficie del mare”. Il congedo fu festoso. I piccioni salutarono l’amico gabbiano con un battito d’ali. Il gabbiano allargò le sue come volesse abbracciarli. Appuntamento la prossima settimana. 

Il gabbiano Carletto, al mattino, saltando giù dal letto e liberandosi del lenzuolo si ritrovò con le braccia alzate.

Non aveva ancora smesso di volare.

Ed ancora immerso nel sogno, entusiasta ma apprensivo, cominciò a pensare a come realizzare quel suo progetto di Olimpiadi dedicate agli uccelli.

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